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D.P.C.M. 12/10/2007

5.4.4 Torri, campanili ed altre strutture a prevalente sviluppo verticale Questa tipologia costruttiva è generalmente distinguibile in base al suo prevalente sviluppo verticale e costituisce un insieme rilevante del patrimonio costruito in Italia. Il comportamento sismico di questa tipologia è dipendente da alcuni fattori specifici: la snellezza della struttura; il grado di ammorsamento delle pareti; l’eventuale presenza di strutture adiacenti più basse, in grado di fornire un vincolo orizzontale; la presenza nella parte sommitale di elementi architettonici snelli (guglie, vele campanarie, merlature, ecc.) o comunque vulnerabili (celle campanarie). La vulnerabilità è inoltre influenzata dalla presenza di stati di danneggiamento di altra natura, dovuti ad esempio alle vibrazioni indotte dalle campane o a problematiche in fondazione. La snellezza è un parametro molto variabile; esistono infatti torri molto tozze (ad esempio, alcune torri di avvistamento o bastioni di difesa medioevali) e campanili di grande snellezza. Se le prime possono essere considerate come costruzioni massive, per i grandi spessori murari formati da murature a sacco, i secondi possono essere considerati come delle strutture monodimensionali, con un comportamento a mensola. L’ammorsamento delle pareti di una struttura muraria a prevalente sviluppo verticale è funzionale a garantire che questa si comporti come una mensola incastrata alla base, con una rigidezza associata all’intera sezione muraria (conservazione della sezione piana) e non come un insieme di pareti distinte. Le tecniche tradizionali per garantire un buon ammorsamento tra le pareti sono: la tessitura dei cantonali; la presenza di cerchiature e catene metalliche; la presenza di orizzontamenti ben collegati. Inoltre, deve essere valutato attentamente l’effetto dovuto alla presenza di spinte, nel caso di volte in muratura. Molto frequente è il caso di torri o campanili posti a contatto con altre strutture di minore altezza. Alcuni casi tipici sono: campanili inglobati o accostati alla chiesa; torri inglobate in vario modo nel tessuto urbano; torri inglobate nella cinta muraria. La presenza di vincoli orizzontali a diverse quote può mutare profondamente il comportamento della struttura, da una parte limitandone l’effettiva snellezza, dall’altra costituendo irrigidimenti localizzati e punti di possibile concentrazione degli sforzi (l’osservazione dei danni ha in genere dimostrato che queste situazioni sono causa di danni anche significativi). Va ricordato che tali vincoli sono spesso diversi secondo le due direzioni principali nel piano orizzontale. In questi casi la verifica andrà eseguita a partire dalla quota di stacco, avendo cura di considerare l’effetto di questo vincolo sulla forma del meccanismo di collasso e l’amplificazione dell’azione sismica a quella quota della struttura. Queste situazioni sono spesso caratterizzate da notevole vulnerabilità. Nei campanili, la cella campanaria può risultare un elemento particolarmente vulnerabile, in quanto sono presenti ampie bucature che producono pilastrini spesso snelli e poco caricati, con rotture a taglio per scorrimento. Analoghe considerazioni valgono per gli elementi snelli e svettanti, spesso presenti sulla sommità delle torri; la loro vulnerabilità è in primo luogo dovuta al modesto carico verticale (associato al solo peso proprio), che garantisce un limitato effetto stabilizzante nei riguardi del ribaltamento. Ancora più critico è l’effetto di amplificazione del moto sismico che si verifica nelle parti più alte della costruzione; l’osservazione dei danni ha infatti mostrato come celle campanarie simili si siano comportate in modo molto diverso, a parità di azione sismica alla base del campanile, e ciò a causa della diversa interazione tra sisma, terreno di fondazione, struttura e sovrastruttura. Considerata la minor complessità geometrica e costruttiva di queste costruzioni, rispetto a quelle delle tipologie analizzate nei due precedenti paragrafi, tutti questi aspetti possono essere in genere studiati con un’adeguata precisione, attraverso modelli strutturali affidabili e di dettaglio. In questo caso si ritiene che, pur con le dovute cautele, anche i modelli lineari possano fornire indicazioni utili ed attendibili, in quanto la ridistribuzione delle sollecitazioni in una struttura sostanzialmente isostatica è sempre modesta. Ciò consente l’utilizzo dell’analisi dinamica, in particolare di quella modale, particolarmente importante per comprendere gli aspetti di amplificazione del moto prima descritti. La relativa chiarezza dello schema strutturale e del comportamento di questa tipologia strutturale consente, in molte situazione reali, di ricondurre la struttura a modelli semplici e limitare ad alcuni casi tipici i meccanismi di danno e collasso. La relativa chiarezza dello schema strutturale e del comportamento di questa tipologia strutturale consente, in molte situazione reali, di ricondurre la struttura a modelli semplici e limitare ad alcuni casi tipici i meccanismi di danno e collasso. I meccanismi di danneggiamento e collasso di questa tipologia di strutture sono molteplici e dipendono sia dalla geometria (snellezza) sia dalle caratteristiche costruttive (qualità muraria e ammorsamenti). Nel caso di torri piuttosto tozze si riscontrano rotture a taglio, mentre in presenza di una qualità muraria scadente si verificano lesioni verticali, che partono dalla cella campanaria e tendono a dividere la struttura in parti. Lo sviluppo di modelli meccanici semplificati capaci di analizzare questi meccanismi per una generalità di situazioni reali non è percorribile, per cui si suggerisce di procedere a verifiche specifiche, ancorché approssimate. Per una valutazione quantitativa con modelli meccanici semplificati è invece possibile fare riferimento al collasso per presso flessione, ovvero considerare la torre come una mensola, sollecitata da un sistema di forze orizzontali oltre che dal proprio peso, che può andare in crisi in una generica sezione per schiacciamento nella zona compressa, a seguito della parzializzazione dovuta alla non resistenza a trazione. La verifica a pressoflessione di una struttura snella in muratura si effettuerà confrontando il momento agente di calcolo con il momento ultimo resistente calcolato assumendo la muratura non resistente a trazione ed una opportuna distribuzione non lineare delle compressioni. La verifica andrà eseguita, secondo le due direzioni principali di inerzia della sezione, a diverse altezze, in quanto non è possibile identificare a priori la sezione più critica, essendo presenti rastremazioni nello spessore della muratura ed indebolimenti per la presenza di aperture. A tale scopo si suddividerà la struttura in n settori di caratteristiche geometriche uniformi effettuando la verifica in corrispondenza di ogni cambio di sezione. La verifica in ogni sezione andrà condotta secondo le due direzioni principali in quanto nella direzione di maggior rigidezza il periodo di vibrazione principale essendo inferiore potrebbe generare una domanda sismica più elevata. Nel caso di una struttura a sezione rettangolare cava, nell’ipotesi che lo sforzo normale agente non sia superiore a 0.85fdas, il momento ultimo resistente alla base dell’i-esimo settore può essere calcolato come: ....A ......A .... 0ii 0ii Mu,i ..bi ......(5.18) ....

2 0.85a f ....id .... dove: . Mu,i è il momento corrispondente al collasso per presso flessione della sezione i-esima di analisi; . ai è il lato perpendicolare alla direzione dell’azione sismica considerata della sezione i-esima di analisi, depurato dalle eventuali aperture; . bi è il lato parallelo alla direzione dell’azione sismica considerata della sezione di analisi; . Ai è l’area totale della sezione di analisi (nel caso di sezione cava di spessore costante essa è pari a 2si(ai+bi-2si)-Bi, con si spessore della muratura nella sezione e Bi area della bucature presenti); . ..0i è la tensione normale media nella sezione di analisi (W/Ai, con W pari al peso della struttura presente al di sopra della sezione di analisi); . fd è la resistenza a compressione di calcolo della muratura (tenendo conto del fattore di confidenza FC). Il momento agente di calcolo può essere valutato considerando un sistema di forze distribuite lungo l’altezza della struttura, assumendo una forma lineare degli spostamenti. La forza da applicare in corrispondenza del baricentro di ciascun concio è data dalla formula seguente: Wz F ii F (5.19) ih n ..Wz kk k1 dove: . Fh = 0.85Sd(T1)W/g; . Wi e Wk sono i pesi dei settori i e k rispettivamente; . zi e zk sono le altezze dei baricentri dei settori i e k rispetto alle fondazioni; . Sd(T1) è l’ordinata dello spettro di risposta di progetto, funzione del primo periodo T1 della struttura secondo la direzione considerata; . .. . g è l’accelerazione di gravità. La risultante delle forze sismiche agenti nella sezione i-esima è data da: n ki n k1 L’altezza zFi cui applicare la forza Fhi viene valutata, , attraverso la relazione: n .. ¦ zk Wk Fhi Fh (5.20) zk Wk ki n ki dove: . zk è la quota del baricentro della massa del k-esimo settore rispetto alla base, avente peso Wk; . zi* è la quota della i-esima sezione di verifica rispetto alla base; Imponendo l’uguaglianza tra il momento ultimo e il momento di progetto: MF z (5.22) u,i hi Fi è possibile ricavare il valore dell’ordinata dello spettro di risposta critico: Mg F u,i h S (5.23) 0.85Wz F Fi hi Il valore dell’accelerazione massima del suolo corrispondente al raggiungimento dello stato limite ultimo nella sezione i-esima vale: ¦ ¦ .. .... dSLUi,, zk2Wk (5.21) z z Fi i* zkWk d 0.4S T1 TC d,SLU,i .... ...... 0.4S T1 (5.24) a SLU,i ! T1 TC d,SLU,i TC dove: . q è il fattore di struttura che, a meno di più accurate valutazioni, può essere assunto, in analogia a quanto fatto per gli edifici, pari a 3, nel caso di strutture regolari in elevazione, o ridotto fino a 2.25, in presenza di bruschi cambiamenti di rigidezza lungo l’altezza o di strutture adiacenti a contatto; . TC è un periodo caratteristico dello spettro di risposta, definito al punto 3.2.3 dell’Ordinanza (si assume che strutture di questa tipologia non abbiano mai periodo inferiore a TB o superiore a TD); . T1 è il primo periodo di vibrazione della struttura, che potrà essere valutato attraverso: a) l’analisi modale di un modello a mensola equivalente; b) algoritmi iterativi che considerano la variazione delle masse e delle rigidezze lungo l’altezza (adottando, per i materiali, i valori dei moduli elastici fessurati), a partire da una forma modale opportunamente assunta; c) formule semplificate, se sufficientemente attendibili. Nel caso di strutture a prevalente sviluppo verticale, il primo periodo di vibrazione in fase elastica può essere ricavato da misure dinamiche con rumore ambientale (o forzate, ad esempio indotte dalle campane); per la valutazione del comportamento a stato limite ultimo deve essere utilizzato il periodo in fase fessurata, che può essere ottenuto moltiplicando il valore del periodo identificato dalle misure dinamiche per un coefficiente compreso tra 1.4 e 1.75. L’accelerazione allo stato limite ultimo aSLU per la struttura è data dalla minima aSLU_i trovata. Nel caso di torri o campanili posti a contatto con altre strutture di minore altezza sarebbe necessario valutare tale accelerazione anche nella sezione posta alla quota di stacco assumendo una forma modale opportuna, diversa da quella pressoché lineare, sia per la stima del periodo di vibrazione, sia per il calcolo dell’altezza zFi cui applicare la forza Fhi.

5.4.5 5.4.5 Gli elementi ad arco (o a volta) sono diffusi nel patrimonio monumentale sia come strutture singole (archi trionfali), sia come parti caratterizzanti di opere più complesse (ponti in muratura). L’intuizione del comportamento sismico degli archi nei riguardi di azioni orizzontali non è banale, in quanto manca una sistematica osservazione dei danni post-terremoto ed i metodi di analisi non sono diffusi nella pratica professionale: alcune considerazioni sulla risposta di un singolo arco possono quindi essere utili per comprendere le strutture più complesse. Nei riguardi dei carichi verticali in genere il sistema arcopiedritto (o la volta a botte su pareti) va in crisi per perdita di equilibrio; se i carichi sono prevalentemente in chiave, si formano cinque cerniere, una delle quali in chiave, con apertura della lesione all’intradosso; le cinque cerniere suddividono la struttura in quattro conci, che possono essere assunti rigidi. Nel caso di un’azione sismica orizzontale, il sistema si lesiona in modo non simmetrico, con formazione di quattro cerniere, due nei piedritti e due nell’arco, con una lesione all’intradosso leggermente spostata rispetto alla chiave ed una all’estradosso alle reni. In entrambe le condizioni di carico sono rari i meccanismi di scorrimento, in quanto l’attrito tra i conci costituisce un efficace contrasto, essendo le forze sempre pressoché ortogonali ai piani di contatto tra i conci stessi. Nel caso di uno studio a collasso per il singolo arco è importante valutare (oltre alla presenza di carichi statici) la reale geometria strutturale: infatti, al di sopra delle imposte è spesso presente un rinfianco strutturale, costituito da muratura o conglomerato. Il rinfianco non è un mero riempimento ma, se adeguatamente costruito, un elemento che riduce la vulnerabilità della struttura: infatti, in genere, le lesioni si formano sopra la zona di rinfianco (questo, di fatto, riduce la luce dell’arco). I modelli che non considerano questa situazione costruttiva risulteranno troppo cautelativi nei confronti del collasso. Inoltre, le strutture ad arco risultano molto sensibili al danneggiamento nel caso di movimenti differenziali delle imposte. L’azione sismica, nel caso di arcate di grande luce (ponti) può indurre un moto non sincrono alla base dei piedritti, sia a causa della propagazione delle onde nel terreno, sia per l’effetto di una diversa amplificazione locale del moto, nel caso di condizioni del terreno differenti alla base delle pile; in tutti questi casi il sisma imprime, istante per istante, spostamenti orizzontali differenti alle imposte dell’arco, con conseguente possibile fessurazione. I ponti ad arco, elementi di grande rilevanza sotto il profilo storico e culturale per l’architettura delle infrastrutture, sono particolarmente importanti anche dal punto di vista strategico, essendo spesso ancora utilizzate per il traffico carrabile e ferroviario. Il comportamento sismico di queste strutture è differente a seconda della tipologia. Nel caso di ponti che si sviluppano in territori non molto impervi (alvei fluviali), le pile avranno altezza ridotta e arcate in genere ribassate. La risposta longitudinale della struttura, prevalentemente legata ad una forma modale in cui le pile si comportano come mensole (sul 1° modo), non presenterà particolari problemi, data la forma tozza delle pile ed i limitati spostamenti in sommità alle stesse. Nei riguardi di un sisma trasversale, le pile, che sono poco snelle, possono lesionarsi a taglio e, nel caso di eccitazione sui modi superiori (vibrazione in senso alternato delle pile), si possono verificare lesioni diagonali nelle volte. Nel caso di ponti ad una sola arcata di grande luce, a meno che non ci siano problemi di fondazione sulle spalle, la risposta è maggiormente influenzata dalla componente verticale dell’azione sismica. La tipologia del viadotto risulta, data la notevole snellezza delle pile, sensibile sia all’eccitazione longitudinale (se le pile hanno altezze differenti, esse vibrano con periodi diversi, con la possibilità di creare allontanamenti nelle imposte delle arcate e conseguente fessurazione), sia a quella trasversale (gli spostamenti in sommità delle pile possono risultare in controfase e l’impalcato risulta distorto; la risposta dipende dalla rigidezza dello stesso nei confronti degli elementi verticali di sostegno). Nel caso di viadotti a molte arcate, le pile possono essere fondate su terreni di caratteristiche geomeccaniche differenti, in particolare sui due versanti; le diverse proprietà del terreno, la potenza degli strati e gli effetti topografici producono fenomeni di amplificazione (o deamplificazione) del moto sismico; l’azione alla base delle diverse pile assume quindi una variabilità spaziale, che si traduce in un’eccitazione differenziata (moto non sincrono). Infine, nei ponti ad arco in muratura sono possibili meccanismi di collasso locale nei timpani, sopra alle arcate, che si comportano come veri e propri muri di contenimento del riempimento (ballast), il quale esercita un’azione statica spingente, cui va aggiunto l’incremento in presenza di sisma. Analogamente a quanto avviene negli edifici in muratura, questo meccanismo è spesso quello che si verifica per primo, per livelli piuttosto bassi dell’azione sismica; l’osservazione dei danni prodotti in occasione dei recenti terremoti in Italia ha mostrato, sostanzialmente, solo l’attivazione di questi meccanismi. La verifica dei meccanismi locali di singole porzioni murarie per azione fuori dal piano è quindi essenziale anche nella valutazione della sicurezza sismica dei ponti ad arco in muratura. Essa può essere eseguita con procedure analoghe a quelle proposte nell’Ordinanza per gli edifici, considerando l’incremento dell’azione dovuto alla posizione del timpano nell’ambito del manufatto. La modellazione agli elementi finiti può consentire una modellazione di dettaglio del ponte ad arco in muratura, che tuttavia presenta notevoli difficoltà nella valutazione dei moduli elastici da attribuire ad alcune parti; ad esempio, il riempimento corrisponde ad una porzione significativa della struttura, dal punto di vista del volume, e quindi la risposta risulta molto sensibile alle caratteristiche ad esso attribuite. Per una valutazione più attendibile della capacità sismica fino allo stato limite ultimo sarebbe necessario utilizzare legami costitutivi non lineari. Essendo i meccanismi di collasso delle arcate e delle pile prevalentemente governati dalla formazione di cerniere, con apertura di lesioni in corrispondenza dei giunti di malta, il legame elastico non lineare di solido non resistente a trazione risulta adeguato, anche se non va dimenticato che, essendo isotropo, esso non considera l’orientazione dei giunti di malta tra gli elementi. Tale modello tuttavia non consente di descrivere in modo corretto la risposta dei timpani, caratterizzati di danneggiamenti per scorrimento con attrito, e del riempimento. Il collasso dei ponti ad arco sotto azione sismica può essere valutato attraverso l’analisi limite dell’equilibrio. L’approccio statico risulta piuttosto complesso sul piano operativo, in quanto ad ogni incremento della componente sismica orizzontale è necessario eseguire nuovamente la ricerca di una curva delle pressioni equilibrata in ogni punto della struttura. L’approccio cinematico, certamente più semplice nell’applicazione, presenta notevoli insidie, soprattutto nei ponti a molte arcate, in quanto l’individuazione del cinematismo di collasso risulta dipendere da molte cerniere, e la risposta può risultare molto sensibile al posizionamento delle stesse, specie nelle arcate. meccanismi locali di singole porzioni murarie per azione fuori dal piano è quindi essenziale anche nella valutazione della sicurezza sismica dei ponti ad arco in muratura. Essa può essere eseguita con procedure analoghe a quelle proposte nell’Ordinanza per gli edifici, considerando l’incremento dell’azione dovuto alla posizione del timpano nell’ambito del manufatto. La modellazione agli elementi finiti può consentire una modellazione di dettaglio del ponte ad arco in muratura, che tuttavia presenta notevoli difficoltà nella valutazione dei moduli elastici da attribuire ad alcune parti; ad esempio, il riempimento corrisponde ad una porzione significativa della struttura, dal punto di vista del volume, e quindi la risposta risulta molto sensibile alle caratteristiche ad esso attribuite. Per una valutazione più attendibile della capacità sismica fino allo stato limite ultimo sarebbe necessario utilizzare legami costitutivi non lineari. Essendo i meccanismi di collasso delle arcate e delle pile prevalentemente governati dalla formazione di cerniere, con apertura di lesioni in corrispondenza dei giunti di malta, il legame elastico non lineare di solido non resistente a trazione risulta adeguato, anche se non va dimenticato che, essendo isotropo, esso non considera l’orientazione dei giunti di malta tra gli elementi. Tale modello tuttavia non consente di descrivere in modo corretto la risposta dei timpani, caratterizzati di danneggiamenti per scorrimento con attrito, e del riempimento. Il collasso dei ponti ad arco sotto azione sismica può essere valutato attraverso l’analisi limite dell’equilibrio. L’approccio statico risulta piuttosto complesso sul piano operativo, in quanto ad ogni incremento della componente sismica orizzontale è necessario eseguire nuovamente la ricerca di una curva delle pressioni equilibrata in ogni punto della struttura. L’approccio cinematico, certamente più semplice nell’applicazione, presenta notevoli insidie, soprattutto nei ponti a molte arcate, in quanto l’individuazione del cinematismo di collasso risulta dipendere da molte cerniere, e la risposta può risultare molto sensibile al posizionamento delle stesse, specie nelle arcate.

 

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